Condanna per aver definito il carcere “lager”

Il caso

Un detenuto trattenuto nel carcere di Sassari lamentava di non aver ricevuto una somma di denaro dopo essere stato “deportato nel lager di Rebibbia”.

La direzione del carcere di Rebibbia sanzionava quindi il detenuto con 15 giorni di esclusione dalle attività in comune.

Il Magistrato di Sorveglianza e il Tribunale di Sorveglianza ritenevano legittimo il provvedimento adottato dalla direzione visto l’atteggiamento offensivo del detenuto nei confronti degli operatori della struttura penitenziaria.

I giudici integravano la sanzione imposta all’uomo vietandogli anche l’acquisto di generi alimentari giacché nel periodo di «esclusione dalle attività in comune» sono già previsti per legge «vitto ordinario e la normale disponibilità di acqua».

Inaccettabile l’appello al “diritto alla manifestazione di pensiero” vista l’offesa diretta alla professionalità degli operatori penitenziari oltraggiati «con la riconduzione al ruolo di aguzzini e torturatori».

Il provvedimento, secondo i Giudici, «attiene alle modalità con cui legittimamente è eseguita la sanzione dell’esclusione dalle attività in comune». È inoltre logico ritenere che «durante quel periodo non si abbia possibilità per il detenuto di acquisto di generi alimentari aggiuntivi»

Con la sentenza n. 35516/20 dell’11 dicembre la Cassazione Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.