Il caso
Due donne recepivano indebitamente la pensione di un congiunto il cui decesso non era stato comunicato all’INPS.
Condannate alla pena di un anno di reclusione ciascuna le imputate proponevano ricorso per cassazione a mezzo del loro legale di fiducia.
In particolare veniva dedotta dalla difesa un’erronea applicazione della legge penale.
I Giudici di terzo grado ritengono che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Il reato di cui all’art. 316 ter c.p., «posto a tutela degli interessi finanziari della pubblica amministrazione e, dunque, della corretta allocazione delle risorse pubbliche, si realizza con il conseguimento indebito di erogazioni pubbliche ottenute con particolari modalità dell’azione, indicata dalla norma come “utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere” o “omissioni di informazioni dovute”. Le informazioni, la cui omissione può integrare la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., devono essere “dovute”, devono, cioè, trovare fondamento in una richiesta espressa dell’ente erogatore o, comunque, risultare imposte dal principio di buona fede precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c., ipotesi, quest’ultima, concretamente invocabile in relazione ad una istruttoria finalizzata alla concessione di erogazioni pubbliche».
Nella vicenda di specie la mancata comunicazione del decesso del beneficiario del trattamento pensionistico viene fatta discendere dall’art. 72, D.P.R. n. 396/2000 che prevede «l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei “congiunti” o della “persona convivente con il defunto” (o di un loro delegato) o – in mancanza della persona “informata” del decesso ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato».
La Suprema Corte ricorda che è compito del responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune «di comunicare all’ente di previdenza la morte dell’assicurato, obbligo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria dell’art. 46, d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003» e, a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi di cui all’art. 34, l. n. 903/1965, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, di comunicare «le informazioni ricevute dai Comuni agli enti erogatori di trattamenti pensionistici per gli adempimenti di competenza».
Viene sottolineata dai Giudici l’assenza quindi «di uno degli elementi costitutivi della fattispecie astratta contestata, rappresentato dall’omissione di informazioni dovute che non sono neppure in astratto configurabili nel rapporto tra l’Istituto ed i congiunti della persona che usufruisce del trattamento pensionistico a questo estranei».
Con la sentenza n. 31210 la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché di fatto non sussiste.