Il tentativo di bloccare la corsa di un motociclo in marcia costituisce violenza privata (art. 610 cod. pen). Questo, quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 16/2020. La vicenda traeva origine dalla condotta tenuta da un uomo il quale, per ragioni derivanti dalla pretesa di un credito lavorativo, ha cercato prima di fermare un mezzo e poi di inseguirlo.
La Corte d’Appello di Messina, confermando la sentenza del Tribunale di Patti, aveva ritenuto l’uomo colpevole del delitto di cui agli artt. 56, 610 cod. pen. In risposta ai motivi di appello, la Corte territoriale osservava che quel giorno la persona offesa era stata avvisata da un cliente dello studio del fratello, presso il quale lavorava, che l’imputato lo aspettava fuori per aggredirlo. L’uomo, dunque, aveva chiamato i carabinieri che l’avevano scortato in caserma. Uscito dalla caserma si era avviato verso casa a bordo della sua motocicletta ma, giunto nei pressi, aveva dovuto evitare l’imputato che, a piedi, aveva cercato di impedirgli di proseguire la marcia, minacciandolo altresì di morte. Si era infine sottratto anche da un suo breve inseguimento.
Affermava dunque la Corte che si era configurato il delitto di tentata violenza privata e che il contesto in cui si era inserito l’episodio delittuoso non permetteva, ex art. 131 cod. pen., di considerare il fatto di particolare tenuità.
Propone dunque ricorso l’imputato, affermando che la prova della propria responsabilità si era fondata solo su fatti e circostanze che avevano preceduto l’accaduto. Lamenta, poi, la violazione di legge in ordine alla ritenuta configurabilità del tentativo, mentre l’azione consumata dall’imputato al più era rimasta allo stadio degli atti preparatori.
Relativamente a quanto sopra esposto, la Suprema Corte ha affermato l’inammissibilità del ricorso, in quanto il «sindacato di legittimità non può consistere nella riconsiderazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, invece, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali».
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna, relativa al delitto di tentata violenza privata, per l’uomo che ha cercato di bloccare la corsa di un motociclo in marcia per ragioni legate alla pretesa di un credito di lavoro.