Con l’ordinanza n. 4523 del 2019, la Corte di Cassazione ha giudicato conferme all’orientamento in materia, la decisione del giudice a quo, con la quale – nel confermare l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie – ha adottato il criterio (non più attuale) del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
La motivazione risiede nella circostanza che i giudici di prime cure hanno seguito un percorso argomentativo bilanciato, guardando con prudenza al criterio del tenore di vita ed evitandone ogni forzatura. Le sentenze emesse da questi sono infatti in sintonia con quanto stabilito dalla recente sentenza delle Sezioni Unite in materia (n. 18287/2018), la quale ha sottolineato la natura composita del giudizio di accertamento del diritto alla percezione dell’assegno. In particolare, la Corte d’appello ha provveduto a liquidare l’assegno divorzile in favore della donna confermando, come già il primo giudice, anche nella determinazione del quantum, l’assunto che non potesse dubitarsi del diritto in capo alla donna di godere dell’assegno, essendo processualmente certo che la stessa non percepisse alcun reddito. Una conclusione che, in Cassazione, è stata contestata dall’ex marito in quanto la Corte territoriale, nel confermare l’entità dell’assegno, si sarebbe appellata a un criterio smentito dalla recente sentenza n. 11504/2017.
Secondo gli Ermellini, tuttavia, nonostante l’indirizzo interpretativo seguito dalla Corte d’Appello appaia superato, gli esiti a cui è pervenuto il decidente del grado appaiono coerenti e in linea con il più recente pensiero espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 18287/2018. Il Supremo Consesso, rivisitando funditus la questione proprio a seguito dell’ampio clamore destato dalla sentenza n. 11504/2017, pur senza abbandonare il nuovo approccio, ha ritenuto di dover smussare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di un’interpretazione dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/1970 (nel testo novellato dall’art. 10 della L. n. 74/1987), più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito dagli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione. Constatato che il parametro dell’adeguatezza enunciato dall’art. 5 ha carattere intrinsecamente relativo e che esso impone perciò una valutazione comparativa condotta in armonia con i criteri indicatori che figurano nell’incipit della norma, gli Ermellini hanno ritenuto che “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà”.
Ne deriva il riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
Tanto premesso, nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto che la Corte d’Appello, pur avendo orientato la decisione sul criterio del tenore di vita goduto dalla ex in costanza di matrimonio, abbia tuttavia proceduto nella direzione tracciata dalle Sezioni Unite, seguendo un percorso argomentativo che guarda con prudenza al criterio del tenore di vita e volutamente ne evita ogni forzatura, non a caso annotando che “esso concorre e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nel denunciato art. 5”.