Il titolare di una servitù di passaggio non può ostacolare la creazione di un muro

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Cassazione civile sez. VI sentenza 28/09/2015 n.19126

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 27 luglio 2009 B.G. ha convenuto davanti al Tribunale di Udine D.S.M. – conduttore di un immobile ad uso commerciale di sua proprietà, sito in (OMISSIS) – chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati da un incendio sviluppatosi il 31 luglio 2006, che ha distrutto l’immobile.
La domanda risarcitoria era fondata sull’inadempimento dell’obbligo di custodia di cui all’art. 1588 c.c., e sull’addebito al conduttore di non avere stipulato apposita polizza assicurativa, come convenuto nel contratto.
Il conduttore ha resistito alle domande, deducendo essere risultato dagli atti dell’inchiesta penale che l’incendio era stato provocato dall’atto doloso di un soggetto ignoto, introdottosi abusivamente nell’appartamento durante la sua assenza. Ha affermato di avere stipulato apposita polizza assicurativa con la s.p.a. Axa, la quale non ha indennizzato il sinistro perchè non addebitabile a colpa dell’assicurato.
Con sentenza del 2010 il Tribunale ha respinto le domande attrici, sul rilievo che l’incendio era da ascrivere a caso fortuito; che il conduttore aveva adempiuto ad ogni obbligo di custodia ed alla clausola relativa all’obbligo di assicurazione.
Proposto appello dal B., a cui ha resistito l’appellato, con sentenza 14 maggio – 6 giugno 2013 n. 472 la Corte di appello di Trieste, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato il D.S. al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 172.007,31, ed al pagamento dei canoni di locazione maturati successivamente all’incendio, con la motivazione che, essendo rimasta ignota la causa dell’incendio, la relativa responsabilità doveva essere posta a carico del conduttore.
Ha ritenuto inammissibile il secondo motivo di appello, relativo all’addebito di responsabilità al conduttore per la mancata stipulazione di polizza assicurativa e ha posto a carico di quest’ultimo le spese dell’intero giudizio.
Il D.S. propone tre motivi di ricorso per cassazione.
Resistono con controricorso gli eredi del B., deceduto nelle more, come indicati in epigrafe, proponendo un motivo di ricorso incidentale condizionato.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 1588 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nel capo in cui la sentenza di appello ha ritenuto non dimostrata la causa dell’incendio e ne ha addebitato la responsabilità al conduttore, sebbene questi avesse fornito la prova positiva e concreta che l’evento aveva avuto origine da un atto doloso, compiuto da ignoti.
Egli aveva infatti allegato agli atti la perizia svolta in sede penale, su incarico del pubblico ministero, la quale ha accertato che persona ignota si era introdotta nottetempo nell’immobile, mediante effrazione della recinzione e della porta di accesso; aveva cosparso il pavimento di liquido infiammabile e vi aveva dato fuoco, mentre esso conduttore si trovava in vacanza ad Amalfi.
Ha soggiunto che gli atti penali sono stati archiviati per essere rimasto ignoto l’autore dell’illecito e che il locatore non ha proposto opposizione all’archiviazione; nè ha specificamente contestato le circostanze di fatto e i documenti da lui prodotti a dimostrazione della non imputabilità del fatto.
2.- Il motivo è fondato.
A norma dell’art. 1588 c.c., il conduttore è responsabile della perdita o del deterioramento del bene locato, anche se derivanti da incendio, qualora non provi che si sono verificati per causa a lui non imputabile.
Il ricorrente ha dimostrato, tramite gli accertamenti compiuti nel corso dell’inchiesta penale – la cui veridicità il resistente non ha contestato – che l’incendio si è verificato a causa dell’atto doloso di un terzo, rimasto sconosciuto. Ha quindi dimostrato che la distruzione dell’immobile è dipesa da causa a lui non imputabile.
La Corte di appello ha erroneamente equiparato il mancato accertamento dell’identità dell’autore dell’incendio al mancato accertamento della causa che ha provocato l’incendio, mentre si tratta di concetti distinti.
L’essere rimasto ignoto l’autore del fatto non esclude che sia stata offerta la prova della non imputabilità al conduttore dei danni che ne sono derivati, ove si tratti del comportamento doloso di un terzo (cfr. Cass. civ. 10 ottobre 2008 n. 25028, che ha ravvisato il caso fortuito in analogo caso di incendio doloso, provocato da un soggetto rimasto ignoto).
Salvo che il locatore dimostri che il l’incendio ebbe a verificarsi per una qualche colposa omissione di custodia da parte di lui:
circostanze che nella specie non sono state neppure dedotte.
La sentenza impugnata deve essere per questa parte cassata.
3.- Il secondo ed il terzo motivo, che attengono alla quantificazione dei danni, sono assorbiti.
4.- Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato gli eredi B. denunciano violazione degli artt. 420, 189 e 343 c.p.c., nel capo in cui la sentenza impugnata ha ritenuto inammissibile perchè tardivo il secondo motivo di appello, con cui il locatore lamentava il rigetto della domanda di risarcimento dei danni derivatigli dall’inadempimento del conduttore all’obbligo di stipulare apposita polizza assicurativa in suo favore, a copertura di tutti i rischi da incendio.
La Corte di appello sarebbe incorsa in errore, in quanto l’addebito attinente all’omessa assicurazione sarebbe stato sollevato dal locatore fin dall’atto introduttivo del giudizio di primo grado e la domanda di condanna del conduttore questo titolo sarebbe stata proposta all’udienza di cui all’art. 420 c.p.c..
2.1.- Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè i ricorrenti non hanno riportato nel ricorso il contenuto (nella parte rilevante in questa sede) degli atti mediante i quali avrebbero proposto la domanda in oggetto; nè hanno dichiarato di avere prodotto gli atti medesimi in allegato al ricorso, specificando come siano contrassegnati e dove siano reperibili fra gli altri atti e documenti di causa, sì da consentirne a questo Collegio l’esame e il controllo, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6, con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966; Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova).
In ogni caso, il motivo è infondato nel merito, se non anche inammissibile, poichè i ricorrenti denunciano l’erroneità della sentenza di appello che ha ritenuto non tempestivamente proposta la domanda di risarcimento dei danni per l’asserito inadempimento del conduttore all’obbligo di stipulare il contratto di assicurazione, ma non hanno specificamente indicato nel ricorso in quale sede avrebbero proposto la domanda stessa.
Essi richiamano parte dell’espositiva in fatto dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ove effettivamente si parla dell’obbligo di assicurazione, ma non dimostrano di avere formulato nello svolgimento delle argomentazioni difensive, e soprattutto nelle conclusioni dell’atto medesimo, specifica domanda di condanna del convenuto anche sotto questo particolare profilo.
Neppure hanno dimostrato, producendo in allegato al ricorso i relativi atti e verbali di udienza, di avere proposto o precisato la domanda all’udienza fissata ai sensi dell’art. 420 c.p.c., come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6, con riguardo agli atti ed ai documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766 e 11 febbraio 2010 n. 8025; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966; Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova).
Il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio risulta solo parzialmente richiamato nella parte espositiva, ma non si dice se, ed in quali parti, il B. abbia proposto specifica domanda di condanna del convenuto per l’inadempimento all’obbligo di stipulare l’assicurazione.
Neppure si specifica se siano stati prodotti, e dove siano reperibili, i verbali di causa ed in particolare quello dell’udienza fissata ai sensi dell’art. 420 c.p.c., ove la domanda sarebbe stata ribadita.
3.- In accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata è cassata nella parte in cui ha escluso che il conduttore abbia fornito la prova liberatoria da responsabilità tramite la dimostrazione che l’incendio è stato provocato dall’atto doloso di un terzo, rimasto ignoto; equivocando così fra il mancato accertamento della causa dell’incendio – il cui rischio è a carico del conduttore – e la mancata individuazione dell’autore dell’illecito che ha provocato il danno: mancata individuazione che rimane irrilevante, ove sia dimostrato che la causa che ha provocato i danni non è imputabile al conduttore.
La causa è rinviata alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, affinchè riesamini la controversia e la decida, in applicazione dei principi sopra enunciati.
La Corte di rinvio deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
PQM
P.Q.M.
La Corte di cassazione accoglie il primo motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti gli altri motivi. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Non ricorrono gli estremi di cui alla D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per la condanna del ricorrente principale al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 16 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2015

Cassazione civile sez. un. sentenza 07/09/2015 n.17684

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G.M. ha convenuto in giudizio l’INPDAP dinanzi al Tribunale di Udine nel 2004, con ricorso ex art. 447 bis c.p.c., per l’accertamento del suo diritto ad acquistare l’abitazione di proprietà pubblica condotta in locazione dalla moglie.
Ha inteso esercitare il diritto di opzione previsto in favore dei conduttori e dei familiari conviventi, in relazione alle unità immobiliari ad uso residenziale oggetto di dismissione dal patrimonio pubblico in forza del D.L. 29 settembre 2001, n. 351, art. 3, convertito in L. n. 401 del 2001.
L’Inpdap nel costituirsi ha eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito, per essere la controversia riservata alla giurisdizione amministrativa; ha evidenziato che l’offerta inviata alla moglie del ricorrente era stata revocata dall’Ente per mancanza dei requisiti di legge, in quanto la stessa era risultata non residente nel Comune ove era situato l’appartamento oggetto di dismissione;
Il Tribunale di Udine, con sentenza n. 447 del 2008, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, in favore del T.A.R. Dinanzi alla Corte d’appello di Trieste, G. ha interposto gravame, cui ha resistito l’Inpdap. La Corte territoriale, con la sentenza n. 17/2010 qui impugnata, ha confermato integralmente la pronuncia di primo grado, ribadendo che la posizione del l’appellante era, al momento, di semplice interesse legittimo (ad essere ammesso ad esercitare l’opzione) e non di diritto soggettivo, non essendovi stata da parte dell’amministrazione la revoca di una proposta contrattuale, ma, da parte dallo stesso ente che lo aveva emesso, la revoca di un precedente atto di ammissione al beneficio dell’opzione, per difetto dei presupposti.
Ha quindi ritenuto che la causa rientra nella competenza del giudice amministrativo e non del giudice ordinario.
G.M. propone un unico articolato motivo di ricorso per cassazione, illustrato da memoria, con il quale lamenta che la sentenza impugnata abbia erroneamente dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario adito, in favore del giudice amministrativo.
L’INPDAP resiste con controricorso.
Con ordinanza 27522/14, la Terza Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha assegnato la causa alle Sezioni Unite.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Parte ricorrente, con accurata ricostruzione della materia, sostiene che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l’azione proposta per sentir accertare e dichiarare la legittimità dell’esercizio del diritto di opzione all’acquisto dell’unità immobiliare sita in (OMISSIS), condotta in locazione dalla moglie R.S., di proprietà della società di cartolarizzazione SCIP, con la condanna dell’Inpdap, mandatario della SCIP a concludere il contratto di compravendita.
Deduce che in sede di conclusioni, dopo aver dato atto che tutti gli altri inquilini dello stabile avevano già provveduto ad acquistare le rispettive unità abitative, aveva chiesto l’accertamento del diritto all’acquisto e al trasferimento coattivo, previa disapplicazione del provvedimento con il quale Inpdap aveva revocato l’offerta in opzione.
1.1) L’INPDAP resiste deducendo che:
a) i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonchè quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 22, sono possibile oggetto dei giudizi dinanzi agli organi di giustizia amministrativa (L. n. 1034 del 1971, art. 23 bis);
b) che obiettivo del D.L. n. 351 del 2001, è di vendere gli immobili al prezzo di mercato, con la conseguenza che secondo la disciplina dell’opzione di cui all’art. 3, l’ente proprietario esercita un potere discrezionale, che si manifesterebbe nella “verifica delle condizioni fissate dalla legge per il riconoscimento del diritto di opzione e poi nella corretta fissazione del prezzo di vendita”;
c) che la posizione del ricorrente sarebbe estranea alla previsione di cui all’art. 3, perchè oggetto della domanda sarebbe non l’accertamento del diritto all’opzione, ma la declaratoria della illegittimità dell’atto di revoca dell’offerta formale di acquisto inviata dall’Inpdap” al coniuge del ricorrente;
d) che il diritto di opzione de quo si configurerebbe come fattispecie a formazione progressiva, che conserva la qualificazione di interesse legittimo della posizione giuridica dell’inquilino fino al momento di verifica della regolarità locativa e quindi sino al rogito.
2) Tutti questi rilievi sono infondati.
Quanto al primo, giova ricordare che da tempo le Sezioni Unite hanno chiarito che: “La cartolarizzazione degli immobili appartenenti allo Stato e agli enti pubblici disciplinata dal D.L. 25 settembre 2001, n. 351, convertito nella L. 23 novembre 2001, n. 410, è compresa nel più vasto ambito delle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, indicato come possibile oggetto dei giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa dalla L. 13 dicembre 1971, n. 1034, art. 23 bis, introdotto dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 4, senza che ciò implichi che la cognizione di tutte le controversie relative sia riservata al giudice amministrativo, atteso che la disposizione non contiene norme sulla giurisdizione, e perciò non modifica i normali criteri di riparto, limitandosi a dettare particolari regole di procedura per giudizi che già competevano a quel giudice” (SU 5593/07; 24417/10).
Pertanto, alla luce dell’ordinario criterio di riparto della giurisdizione basato sul “petitum” sostanziale, si è ritenuto, in tema di dismissione di beni pubblici, che spetta al giudice amministrativo la giurisdizione in ordine all’impugnazione degli atti di indizione dell’asta e aggiudicazione a terzi di un bene immobile pubblico, essendo la domanda principalmente rivolta all’accertamento della nullità degli atti della procedura, che sono espressione di attività pubblicistica provvedimentale e rispetto ai quali la posizione del privato riveste carattere di interesse legittimo, e soltanto in via conseguenziale all’annullamento del contratto di compravendita (Cass. 5288/10 e, similmente, Cass. 13910/11).
Per contro le Sezioni Unite hanno stabilito che è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia, promossa nei confronti del Ministero della difesa e della società concessionaria del relativo servizio, da parte di un Comune il quale – avendo esercitato, in relazione alla dismissione di un immobile di cui alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 112, il diritto di prelazione previsto dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 44, comma 3, – chieda l’emissione di una sentenza che dichiari il trasferimento, in suo favore, del diritto di proprietà sul bene ai sensi dell’art. 2932 c.c.. A tal fine le Sezioni Unite (SU 12409/11) hanno precisato che la pretesa del Comune, compresa nell’ambito della figura civilistica della prelazione, ha natura e consistenza di diritto soggettivo, a nulla rilevando che l’Amministrazione contesti la sussistenza dei presupposti per l’esercizio di tale diritto, poichè tale profilo attiene al merito e non all’individuazione della giurisdizione.
2.1) Questi precedenti pongono già con chiarezza, nella materia in esame, la distinzione tra azione rivolta a far valere un diritto del conduttore (o comunque di chi pretende di aver titolo all’acquisto) e impugnativa di un provvedimento emesso dalla p.a. nell’esercizio dei suoi poteri autoritativi.
Si trova riscontro in Sez. Unite, n. 12106 del 16/07/2012 e in SU n. 9692 del 22/04/2013.
La prima ha riconosciuto che il D.L. n. 351 del 2001, art. 3, conv.
in L. n. 410 del 2001, nel riconoscere in favore dei conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale il diritto di opzione per l’acquisto di detti beni al prezzo determinato dai commi 7 e 8, del medesimo articolo, pari al prezzo di mercato diminuito del trenta per cento, ed escludendo tale riduzione per gli immobili di pregio, rappresenta il risultato di un bilanciamento di interessi che il legislatore ha compiuto fra l’aspirazione dei conduttori dei suddetti immobili ad acquistare ad un valore inferiore a quello di mercato e le esigenze degli enti previdenziali di non svendere proprietà prestigiose. Ne ha tratto la conseguenza che il decreto con cui il Ministro dell’economia individua gli immobili di pregio presenta un contenuto di discrezionalità pubblicistica, a fronte del quale i conduttori delle unità interessate vantano un interesse legittimo tutelabile dinanzi al giudice amministrativo.
Analogamente è del giudice amministrativo la giurisdizione allorchè sia controversa la quantificazione del prezzo contenuto nell’offerta da effettuarsi al conduttore dell’immobile ad uso residenziale per consentirgli l’esercizio del diritto di opzione, di cui al D.L. 25 settembre 2001, n. 351, art. 3, (convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 410, e successivamente ulteriormente riformato).
La determinazione del prezzo, come la individuazione dei beni da alienare, è connotata infatti, in ragione delle variabili che la determinano, da discrezionalità pubblicistica, restando precluso al giudice ordinario un sindacato di merito, di tipo sostitutivo delle valutazioni dell’amministrazione (SU 9692/13 cit.).
3) Ben diverso è il tema del decidere nel caso in esame, in cui è già avvenuta la individuazione del bene e il conduttore domanda quindi di esercitare il diritto di opzione spettantegli ai sensi dell’art. 3.
L’attore lamenta violazione del diritto soggettivo di opzione e non di un interesse legittimo alla corretta formazione della volontà dell’amministrazione, che è già formata e deliberata quanto alla decisione di alienare il bene, con l’attivazione del meccanismo previsto dal D.L. 351 convertito, con modificazioni, nella L. 23 novembre 2001, n. 410.
La richiesta di disapplicazione del provvedimento di revoca dell’offerta comunicata al conduttore per consentirgli l’esercizio del diritto non assume prevalenza rispetto alla materia che deve essere scrutinata a questo punto della procedura: ne è solo accertamento incidentale.
Come ha dedotto parte ricorrente, il diritto all’esercizio dell’opzione sorge già al momento dell’inclusione del bene nel decreto ministeriale attuativo del suo trasferimento alla società veicolo.
La successiva offerta in opzione è solo una modalità attuativa. Il giudice ordinario è chiamato dalla domanda a stabilire se sussistono o no le condizioni giuridiche previste dalla legge per l’esercizio del diritto, cioè se chi esercita l’opzione versa nelle condizioni previste dalla normativa in favore del conduttore e dei suoi familiari.
Questa verifica non implica alcun esame dei poteri autoritativi dell’amministrazione, che ha già deciso l’alienazione, ma una verifica della regolare condizione dell’aspirante acquirente, il quale sostiene di aver titolo all’acquisto e trova legittimazione direttamente nella legge sulla dismissione dei beni pubblici. La relativa controversia non può che essere devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario.
4) Discende da quanto esposto l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata.
Versandosi in una ipotesi di rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione, la cognizione va rimessa al giudice di primo grado, cioè al tribunale di Udine, il quale provvederà anche sulla liquidazione delle spese di questo giudizio.
PQM
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia al tribunale di Udine, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 9 giugno 2015.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2015

Cassazione civile sez. I sentenza 22/07/2015 n.15360

La semplice circostanza che venga divulgata l’immagine di un soggetto a cui è riferibile una vicenda che presenti un interesse a essere conosciuta dal pubblico non può ritenersi sufficiente a legittimarne la riproduzione e la divulgazione. A tal fine è infatti necessario che tale diffusione risulti essenziale per la completezza e la correttezza dell’informazione offerta (fattispecie relativa alla richiesta di risarcimento dei danni avanzata da un uomo a causa dell’uso abusivo della sua immagine nel corso di un noto programma televisivo. Durante suddetto programma infatti, si mostravano alcuni passaggi dei colloqui tenutisi nel suo ufficio e registrati di nascosto, intrattenuti dall’uomo con un inviato del programma, il quale aveva finto di interessarsi alla sua professione di consulente aziendale).

Cassazione civile sez. un. sentenza 15/06/2015 n.12307

La parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.

Cassazione civile sez. III sentenza 28/05/2015 n.11113

La destinazione particolare dell’immobile locato, tale da richiedere che l’immobile stesso sia dotato di precise caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, quale elemento presupposto o, infine, quale contenuto dell’obbligo assunto dal locatore nella garanzia di pacifico godimento dell’immobile in relazione all’uso convenuto soltanto se abbia formato oggetto di specifica pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione, nel contratto, che la locazione sia stipulata per un certo uso e l’attestazione del riconoscimento della idoneità dell’immobile da parte del conduttore.

Tribunale sez. II Reggio Emilia 20/05/2015 ud. n.763

La presente controversia trae origine dal decreto ingiuntivo meglio indicato in dispositivo, ottenuto dal trasportatore Cooperativa Ema nei confronti del committente Ar. per il pagamento del saldo del prezzo relativo a trasporti effettuati, ed in particolare per il pagamento della differenza tra quanto corrisposto e quanto spettante ai sensi dell’articolo 83 bis comma 9 D.Lgs. n. 112/2008 come minimo tariffario.
Avverso l’ingiunzione ha proposto la presente opposizione Ar., sollevando eccezioni di legittimità costituzionale e di contrarietà all’ordinamento comunitario della norma invocata in sede monitoria, e comunque resistendo nel merito.
Costituendosi in giudizio, Cooperativa Ema ha domandato il rigetto dell’opposizione.
Nel corso della controversia, la causa è stata dichiarata interrotta per il fallimento della convenuta, e poi riassunta da Ar. nei confronti del Fallimento Cooperativa Ema.
A seguito della pronuncia della Corte di Giustizia 4/9/2014, il Giudice, rigettata l’istanza di concessione della provvisoria esecuzione e rigettate tutte le richieste probatorie, ha ritenuto la causa matura per la decisione fissando udienza di precisazione di conclusioni.
La causa è stata così trattenuta in decisione sulle conclusioni trascritte in epigrafe, poi illustrate con il deposito delle memorie conclusive ex articolo 190 c.p.c.
Diritto
a) Come esposto in parte narrativa, nel corso del processo è intervenuta una pronuncia della Corte di Giustizia in ordine alla compatibilità con il diritto comunitario dell’articolo 83 bis comma 9 D.Lgs. n. 112/2008, norma posta alla base della richiesta di ingiunzione qui opposta (cfr. Corte Giustizia, Quinta Sezione, cause riunite da C-184/2013 a C-187/2013, C-194/2013, C-195/2013 e C-208/2013).
Con tale pronuncia, la Corte di Giustizia, all’esito di un articolato giudizio, ha ritenuto che “la determinazione dei costi minimi d’esercizio per l’autotrasporto, resa obbligatoria da una normativa nazionale quale quella controversa nei procedimenti principali, è idonea a restringere il gioco della concorrenza nel mercato interno” (punto 45)”.
Invero, pur se l’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale di tutelare la sicurezza stradale è certamente un “obiettivo legittimo”, tuttavia “la determinazione dei costi minimi d’esercizio non risulta idonea né direttamente né indirettamente a garantirne il conseguimento” (punto 51).
Va infatti rimarcato che “i provvedimenti in esame vanno al di là del necessario”, poiché “da un lato, non permettono al vettore di provare che esso, nonostante offra prezzi inferiori alle tariffe minime stabilite, si conformi pienamente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza” (punto 55); dall’altro lato, “esistono moltissime norme … riguardanti specificamente la sicurezza stradale, che costituiscono misure più efficaci e meno restrittive” la cui osservanza “può garantire effettivamente un livello di sicurezza stradale adeguato” (paragrafo 56).
Pertanto, “la determinazione dei costi minimi d’esercizio” così come prevista dalla nostra normativa nazionale, “non può essere giustificata da un obiettivo legittimo”(punto 57).
Alla luce di tali considerazioni, il dispositivo con il quale la Corte di Giustizia definisce la questione relativa alla pronuncia pregiudiziale sollevata dal Tar Lazio ed attinente ai costi minimi previsti per il contratto di trasporto dall’articolo 83 bis (cfr. punti 13, 16, 39 e 50 della sentenza), è il seguente: “l’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4 paragrafo 3 TUE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d’esercizio…”.
b) In ragione di tutto quanto sopra, non pare a questo Giudice revocabile in dubbio come l’articolo 83 bis comma 9 D.Lgs. n. 112/2008, norma indicante i minimi tariffari nel contratto di trasporto ed in base alla quale è stato ottenuto il decreto ingiuntivo qui opposto, debba ritenersi in contrasto con l’ordinamento comunitario.
A tali conclusioni, peraltro, è giunta anche la giurisprudenza di merito che si è pronunciata dopo l’intervento della Corte di Giustizia di Lussemburgo (cfr. Trib. Ravenna 16/4/2015, Trib. Brescia 13/3/2015, Trib. Sassari 18/2/2015, Trib. Salerno 12/11/2014, Trib. Mantova 2/10/2014, Trib. Cagliari 11/9/2014), e questo stesso Tribunale (cfr. Trib. Reggio Emilia, est. Marini, sentenza 17/3/2015).
Di tale inevitabile approdo ermeneutico ha poi preso atto anche il legislatore nazionale, che con l’art. 1 comma 248 L. n. 190/2014 ha abrogato il comma in parola, unitamente ai commi da 1 a 2 e da 6 ad 11, ed ha completamente riscritto l’articolo 83 bis sostituendo i commi dal 4 al 4 sexies, con norma entrata in vigore il 1/1/2015 e quindi inapplicabile ratione temporis alla controversia, e norma comunque che rimette all’autonomia negoziale l’individuazione del prezzo.
E la stessa Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 80/2015, ha disposto la trasmissione degli atti al Giudice rimettente per un nuovo esame della norma a seguito dell’intervento della Corte di Giustizia.
Discende che in base ai pacifici principi generali in materia, questo giudice deve disapplicare la norma nazionale per il periodo antecedente alla sua espressa abrogazione, in quanto contrastante con il diritto comunitario e non può applicare la norma introdotta successivamente, in quanto ratione temporis non vigente. Pertanto, si impone la revoca del decreto ingiuntivo opposto, in quanto ottenuto sulla base di una norma contraria all’ordinamento comunitario.
All’evidenza, tutti gli altri profili di merito e di legittimità costituzionale della norma, sollevati dalla difesa dell’opponente, devono ritenersi assorbiti.
c) Nonostante la soccombenza dell’opposto ed originario ricorrente, i motivi che, ex articolo 92 comma 2 ratione temporis vigente, giustificano la totale compensazione tra le parti delle spese di lite, vanno avvisati nel fatto che solo in corso di causa la norma in base alla quale la domanda monitoria era stata azionata, è stata dichiarata contraria all’ordinamento comunitario.
PQM
P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica
definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa
– revoca il decreto ingiuntivo n. 3747/2013 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia il 11/10/2013;
– compensa integralmente tra le parti le spese di lite del giudizio
Reggio Emilia, 20/5/2015

Cassazione civile sez. III sentenza 08/05/2015 n.9317

Deve essere esclusa la responsabilità del tour operator per i danni occorsi ad un viaggiatore nel corso di un escursione (nella specie, caduta da un dromedario) allorchè sia accertato che il tour operator abbia svolto un ruolo di mera intermediazione nell’acquisto di un’escursione.

Cassazione civile sez. VI sentenza 14/04/2015 n.7444

Deve essere confermata la decisione dei giudici del merito che hanno rigettato la domanda proposta da un avvocato nei confronti della Telecom per ottenere il risarcimento del danno subito a seguito di un guasto all’utenza telefonica del proprio studio legale, che aveva impedito la comunicazione in entrata e in uscita, in quanto i tabulati prodotti e le testimonianze assunte dimostravano che era stata costantemente utilizzata la linea telefonica dello studio, anche nei giorni successivi a quello della denunzia del guasto, e che l’inconveniente, consistente nella frequente la caduta della linea, era durato solo pochi giorni.

Corte di cassazione II Sez. Civile sentenza 07/04/2015 n. 6921

Ampia tutela legale per il cliente vittima del reato del professionista “di fiducia”.
La Seconda civile della Cassazione annullando una decisione della Corte d’appello di Milano, ha infatti stabilito che il calcolo della prescrizione dell’azione civile di risarcimento non decorre dal giorno (ultimo) di commissione del reato, ma bensì da quando l’illecito «manifesta all’esterno i suoi effetti», in sostanza dal momento in cui la vittima percepisce se stessa come tale.

Il caso era nato all’inizio del 2002, quando il titolare di due srl aveva citato a giudizio (civile) il commercialista “di fiducia”, reo di aver distratto nel decennio precedente somme dai conti correnti bancari, oltre che di aver usato impropriamente deleghe bancarie e modulistica in bianco, infine di aver soppresso documentazione fiscale/contributiva. Nei giudizi di merito, tuttavia, tribunale e Corte d’appello avevano statuito il decorso della prescrizione quinquennale, considerato che le distrazioni patrimoniali datavano tra il ’92 e il ’93 e l’ultimo episodio (utilizzo delle deleghe) al ’96.

La Seconda civile ha in primo luogo escluso l’applicabilità del 3° comma dell’articolo 2947 del codice civile (decorso – allungato – a partire dalla data di estinzione del reato o dalla data di irrevocabilità della sentenza) perchè nell’ ipotesi di causa la prescrizione del reato è più breve di quella dell’azione per il risarcimento. Pertanto il calcolo non può che essere strettamente correlato alla data del reato. Tuttavia, sottolinea la Cassazione, pur versando in ipotesi di illecito extracontrattuale (in quanto appunto reato) con prescrizione quinquennale, bisogna attenersi al principio secondo cui «la prescrizione comincia a decorrere solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (articolo 2935 del codice civile)».

Cassazione civile , sez. VI-T, ordinanza 10.03.2015 n. 4800

I benefici fiscali previsti per l’acquisto della prima casa spettano alla sola condizione che, entro il termine di decadenza di diciotto mesi dall’atto, il contribuente stabilisca, entro il Comune dov’è situato l’immobile, la propria residenza, così adempiendo l’obbligo su di lui incombente e da lui assunto al momento del rogito. Ciò premesso, le lungaggini burocratiche non integrano la forza irresistibile ostativa al trasferimento nel comune dov’è ubicato l’immobile oggetto delle agevolazioni idonea ad impedire la perdita del beneficio fiscale.

Tribunale Reggio Emilia, sentenza 24.02.2015 n. 304

Nella sentenza n. 304, emessa dalla Sezione II Civile, il Tribunale di Reggio Emilia affronta la questione della usurarietà o meno, degli interessi moratori e della eventuale sanzione in caso di conferma della usurarietà medesima in quanto risulta superato il tasso soglia.
Il Tribunale di Reggio Emilia si trova con tale sentenza ad affrontare la questione della usurarietà o meno degli interessi moratori e l’eventuale sanzione. La difficoltà nell’analizzare l’eventualità è chiara se si considera il fatto che vi sono diverse posizioni a tal riguardo, come lo stesso Tribunale considera. Secondo un primo orientamento, richiamato in sentenza, la normativa antiusura è da considerarsi estranea agli interessi moratori, il cui fondamento è dato da argomenti letterali e sistematici.
Infatti, dalla norma di cui all’art. 644 del c.p., norma sull’usura, si evince che il fenomeno usurario sia circoscritto alla pattuizione degli interessi corrispettivi e che ciò sia possibile ricontrarlo anche facendo riferimento all’art. 19 paragrafo 2, della direttiva 2008/48/CE , che riguarda il contratto dei consumatori e che esclude dal calcolo TAEG, eventuali penali per inadempimento.
L’altro orientamento, considera più armonica con i principi generali dell’ordinamento, la considerazione secondo cui occorre effettuare un controllo anche sugli interessi moratori, il cui fondamento non sarà da rinvenire nella normativa antiusura, bensì riconducendo la previsione degli interessi moratori all’interno delle clausole penali, riconoscendo al giudice il potere equitativo di riduzione ex art. 1384c.c..
Il giudice del Tribunale di Reggio Emilia, in persona del Dott. Morlini, ritiene di dover aderire all’orientamento che considera configurabile l’usura anche con riguardo agli interessi moratori, considerando decisivo in tal senso il riferimento all’art. 1 D.L. 394/2000, che con la dicitura ” convenuti a qualunque titolo” sembra proprio ricomprendervi anche gli interessi moratori e che pertanto, il comportamento di chi esiga un vantaggio e un interesse che la legge considera eccessivo è inesigibile in omaggio al principio di buona fede oggettiva ed al divieto di abuso del diritto.
Posizione questa avallata altresì dalla giurisprudenza di legittimità, richiamata nella suddetta sentenza, che come stabilito dalla Cassazione 5286/2000, non vi è alcun motivo per escludere l’applicabilità della normativa antiusura, nelle ipotesi di corresponsione di interessi moratori, dal momento che il ritardo colpevole non può assolutamente giustificare la validità di una obbligazione onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge.
Inoltre, il Tribunale di Reggio Emilia, richiamando anche la Cassazione 350/2013, condivide e afferma che la verifica di superamento del tasso soglia deve essere fatta autonomamente con riguardo alle rispettive categorie di interessi senza che si sommino tra loro e nel caso si giunga, come nella circostanza di specie, a constatare che siano da ritenere usurari i soli interessi moratori, il giudice dovrà decidere in merito a questi ultimi.
Il problema ulteriore che si poneva era proprio con riferimento alla sanzione da considerare. Il giudice a tal riguardo, precisa il Tribunale, può valutare come non dovuti né gli interessi moratori né quelli corrispettivi, ma in tal senso la soluzione risulterebbe eccessiva ed ingiustificata, diversamente operando una distinzione tra interessi corrispettivi che rappresentano il corrispettivo del mutuo e che appartengono al momento funzionale di restituzione delle somme mutate, e gli interessi moratori che hanno funzione risarcitoria ed attengono ad un momento che è eventuale perché dipende dall’inadempimento, il giudice può solamente decidere di considerare nulli gli interessi moratori ex art. 1815 comma 2 c.c. senza che vengano coinvolti quelli corrispettivi, così come afferma il Tribunale di Reggio Emilia.
FATTO
Nella presente procedura, gli attori propongono opposizione avverso il precetto meglio indicato in dispositivo, intimato nei loro confronti dalla Banca Nazionale del Lavoro, a seguito dell’inadempimento nella restituzione delle rate di un mutuo fondiario.
In particolare, gli opponenti deducono l’usurarietà del tasso degli interessi pattuiti, soprattutto con riferimento a quelli moratori; la conseguente non debenza, ex art. 1815 comma 2 c.c., di alcun tasso di interesse, né con riguardo agli interessi corrispettivi, né con riguardo agli interessi moratori; l’assenza quindi di inadempimento nella rifusione delle rate previste, ricalcolate tenendo a mente la somma capitale come unica somma dovuta in restituzione.
Per tali motivi, concludono nel senso dell’illegittimità del precetto opposto, con richiesta di annullamento dello stesso.
Costituendosi in giudizio, resiste BNL, deducendo, in via gradata, la non usurarietà degli interessi pattuiti; l’impossibilità di censurare come usurari gli interessi moratori, potendosi ritenere usurari solo gli interessi corrispettivi; in denegata ipotesi di valutazione dell’usurarietà anche degli interessi moratori, l’elisione della debenza dei soli interessi moratori, non anche di quelli corrispettivi.
Per tali motivi, si conclude domandando il rigetto della domanda attorea, ed in via subordinata il ricalcolo della posizione debitoria degli opponenti, sulla base dell’invalidità della sola clausola contenente gli interessi moratori, non anche di quella relativa agli interessi corrispettivi.
La causa è istruita con una CTU contabile affidata alla dottoressa Rosita Borghi.
All’udienza del 13/11/2015, la controversia è trattenuta in decisione con la concessione dei termini di legge, nella misura minima prevista dall’art. 190 c.p.c., per il deposito di conclusionali e repliche.
DIRITTO
a) Le questioni giuridiche affrontate dalle parti nel corso del processo e che devono essere risolte per potere decidere le controversia, sono sostanzialmente due.
La prima attiene alla possibilità o meno di ritenere usurari non solo gli interessi corrispettivi, ma anche gli interessi moratori, quesito al quale la difesa degli opponenti fornisce risposta positiva, mentre risposta negativa fornisce invece la difesa di parte opposta.
La seconda questione, che si pone solo laddove si ritenga possibile configurare usurari anche gli intessi moratori, attiene invece alle conseguenze nel caso di usurarietà dei soli interessi moratori e non anche degli interessi corrispettivi: in tal caso, infatti, ad avviso della difesa degli opponenti, nessun interesse, né corrispettivo né moratorio, sarebbe dovuto; mentre ad avviso della difesa dell’opposta, non sarebbero dovuti i soli interessi moratori, mentre rimarrebbero dovuti gli interessi corrispettivi, in quanto convenzionalmente fissati al di sotto della soglia d’usura.
b) Così impostati i termini della questione, ritiene il Giudice che, in conformità a quanto sostenuto dalla difesa degli opponenti, il primo quesito vada risolto nel senso che anche gli interessi moratori possano essere censurati come usurari.
Sul punto, deve certamente darsi atto alla difesa dei convenuti che la tesi dell’estraneità della normativa antiusura alla materia degli interessi moratori, può essere supportata da seri argomenti letterali e sistematici, posto che la figura tipica dell’usura è quella disegnata dall’art. 644 c.c., il cui esplicito riferimento a ciò che viene dato o promesso “in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità”, sembra circoscrivere il fenomeno usurario alla pattuizione di interessi corrispettivi; e che una conferma di ciò può essere ricavata anche dall’art. 19 paragrafo 2 della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, il quale espressamente esclude dal calcolo del taeg eventuali penali per inadempimento.
Non peregrina, quindi, è la soluzione, seguita da una parte della giurisprudenza di merito, che ritiene di meglio armonizzare i principi dell’ordinamento e la necessità di effettuare uno scrutinio anche sull’ammontare degli interessi moratori, non già utilizzando la normativa sull’usura; ma riconducendo la previsione contrattuale di interessi moratori nell’alveo delle clausole penali, con conseguente applicazione, ove ne ricorrano gli estremi, del potere equitativo di riduzione attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c.
Ciò posto e ribadita la serietà della tesi sopra esposta, ad avviso di questo Giudice è però preferibile la diversa ricostruzione che ritiene configurabile l’usura anche con riferimento agli interessi moratori.
Sul punto, pare infatti decisivo il riferimento operato dall’art. 1 D.L. 394/2000 agli interessi “convenuti a qualunque titolo”, ciò che consente di considerare ricompresi nell’ambito della normativa antiusura anche gli interessi moratori.
E’ questa, d’altro canto, la posizione della giurisprudenza di legittimità, che sin dalla sentenza di Cass. n. 5286/2000 ha statuito che “non v’è ragione per escluderne l’applicabilità anche nelle ipotesi di assunzione dell’obbligazione di corrispondere interessi moratori”, atteso che “il ritardo colpevole non giustifica di per sé il permanere della validità di un’obbligazione così onerosa e contraria al principio generale posto dalla legge” (nello stesso senso anche le successive Cass. n. 14899/2000, Cass. n. 8442/2002, Cass. n. 5324/2003, Cass. n. 10032/2004, Cass. n. 9532/2010, Cass. n. 11632/2010, Cass. n. 350/2013).
La tesi, che si è detto consolidata nella giurisprudenza di legittimità, è poi stata avallata anche dalla Corte Costituzionale, che con la pronuncia n. 29/2002 ha ritenuto “plausibile” l’assunto “secondo cui il tasso soglia riguardasse anche gli interessi moratori”.
Pertanto, a tale tesi, in ragione della sua intrinseca persuasività e comunque per un doveroso rispetto della funzione di nomofilachia della Corte di Cassazione, questo Giudice intende conformarsi, applicando il principio di diritto in base al quale il tasso soglia al di là del quale gli interessi sono considerati usurari, riguarda non solo gli interessi corrispettivi, ma anche quelli moratori.
Detto quindi che lo scrutinio sulla non usurarietà va effettuato sia sugli interessi corrispettivi, sia sugli interessi moratori, va poi chiarito che la verifica dell’eventuale superamento del tasso soglia deve essere autonomamente eseguita con riferimento a ciascuna delle due categorie di interessi, senza sommarli tra loro, come è stato invece isolatamente sostenuto in qualche pronuncia di merito.
Infatti, il riferimento operato da Cass. n. 350/2013 alla “determinazione del tasso soglia comprensivo della maggiorazione per la mora”, intende semplicemente indicare la necessità di accertare il rispetto del tasso soglia anche in relazione agli interessi moratori, in quel caso determinati convenzionalmente nella misura di una maggiorazione del 3% degli interessi corrispettivi.
In sostanza, è necessario siano non usurari sia il tasso corrispettivo, sia il tasso moratorio (quest’ultimo non di rado calcolato con una maggiorazione rispetto al tasso corrispettivo, come nel caso analizzato dalla citata sentenza di legittimità) concretamente applicati; ma in tutta evidenza, irrilevante ai fini dello scrutinio sull’usura è la sommatoria del tasso corrispettivo e del tasso usurario, atteso che detti tassi sono dovuti in via alternativa tra loro, e la sommatoria rappresenta un ‘non tasso’ od un ‘tasso creativo’, in quanto percentuale relativa ad interessi mai applicati e non concretamente applicabili al mutuatario.
b) Accertata la possibilità di censurare come usurari anche gli interessi moratori, occorre prendere posizione sul secondo dei problemi più sopra indicati, e cioè capire se, in caso di usurarietà dei soli interessi moratori e non anche di quelli corrispettivi, nessun interesse sia dovuto ex art.1815 comma 2 c.c., né corrispettivo né moratorio, così come sostenuto dagli opponenti; ovvero se solo gli interessi moratori siano non dovuti ex art. 1815 comma 2 c.c., rimanendo invece dovuti gli interessi corrispettivi, in quanto convenzionalmente fissati al di sotto della soglia d’usura, così come sostenuto dalla difesa dell’opposta.
Tanto premesso, ritiene il Giudice che, in assenza di precedenti di legittimità sul punto, debba essere preferita quest’ultima tesi, con la conseguenza che l’usurarietà degli interessi moratori travolge solo gli interessi moratori stessi, non anche gli interessi corrispettivi legittimamente pattuiti.
Sul punto occorre muovere dal differente inquadramento giuridico degli interessi compensativi e degli interessi moratori, avendo essi autonoma e distinta funzione: i primi rappresentano infatti il corrispettivo del mutuo, mentre i secondi assolvono ad una funzione risarcitoria, preventiva e forfettizzata, del danno da ritardo nell’adempimento.
Dalla distinzione ontologica e funzionale tra gli istituti, discende la necessità di isolare le singole clausole dal corpo del regolamento contrattuale ai fini della declaratoria di nullità, o meglio, di riconoscere che l’unico contratto di finanziamento contiene due distinti ed autonomi paradigmi negoziali destinati ad applicarsi in alternativa tra loro in presenza di differenti condizioni: l’uno fisiologico e finalizzato alla regolamentazione della restituzione rateale delle somme mutate; l’altro solo eventuale ed in ipotesi di patologia del rapporto, nel caso di inadempimento del mutuatario, evenienza al verificarsi della quale è ragionevole ritenere che diversamente si atteggi la volontà delle parti.
Da ciò discende che l’eventuale nullità della seconda pattuizione, relativa al caso di inadempimento ed alla patologia del rapporto, non pregiudica la validità della prima pattuizione, relativa alla fisiologia del rapporto.
Se dunque gli interessi corrispettivi, convenuti entro il tasso soglia, continuano ad essere dovuti nel rispetto del piano di ammortamento rateale, l’invalidità della clausola contrattuale concernente la mora, in rigorosa applicazione della sanzione posta dal combinato disposto dagli artt. 1815 comma 2 c.c. e 1419 c.c., determina la non debenza degli interessi moratori, ma solo di tali interessi, senza che ciò comporti la conversione in mutuo gratuito di un mutuo contenente interessi moratori usurari; tanto più che, ex art. 1224 comma 1 c.c., in mancanza di tasso di mora, s’applica comunque quello corrispettivo o legale.
Pertanto, gli interessi corrispettivi, ove contenuti entro il tasso soglia, continueranno ad incrementare la sorte capitale finché il rimborso rateale prosegua nel rispetto del piano di ammortamento; mentre al verificarsi dell’inadempimento, non saranno dovuti gli interessi moratori pattuiti, in quanto contenuti in una clausola nulla, ma, in ragione della decadenza dal beneficio del termine ove prevista e fatta valere, risulterà esigibile per intero ed immediatamente la sorte capitale, maggiorata dagli interessi corrispettivi ex art. 1224 comma 1 c.c.
Così facendo, la clausola che prevede gli interessi moratori, in quanto nulla, è e resta tamquam non esset; mentre viene rispettata una regola, quella degli interessi corrispettivi, che sarebbe destinata ad operare anche se la clausola nulla non fosse mai stata prevista.
Acuta Dottrina segnala che, solo così facendo, si risponde a “principi di proporzionalità e specificità nel raffronto tra illecito negoziale, pregiudizio degli interessi economici conseguenti e relativo trattamento sanzionatorio”.
Il principio di diritto che può allora essere enucleato è quello in base al quale, se il superamento del tasso soglia in concreto riguarda solo gli interessi moratori, la nullità ex art. 1815 comma 2 c.c. colpisce unicamente la clausola concernente i medesimi interessi moratori, senza intaccare l’obbligo di corresponsione degli interessi corrispettivi convenzionalmente fissati al di sotto della soglia.
Tali conclusioni, in assenza di giurisprudenza di legittimità sul punto, sono coerenti con la maggioritaria giurisprudenza di merito edita, alla quale qui si intende dare continuità (cfr. Trib. Palermo 12/12/2014, Trib. Treviso 9/12/2014 e 11/4/2014, Trib. Brescia 24/11/2014, Trib. Cremona ord. 30/10/2014, Trib. Taranto ord. 17/10/2014, Trib. Venezia 15/10/2014, Trib. Roma 16/9/2014, Trib. Milano 22/5/2014 e ord. 28/1/2014, Trib. Verona 30/4/2014, Trib. Trani 10/3/2014, Trib. Napoli 28/1/2014. Contra e nel senso invocato dagli opponenti, cfr. però App. Venezia n. 342/2013, Trib. Udine 26/9/2014, Trib. Parma ord. 25/7/2014, Trib. Padova 8/5/2014).
c) Quanto sopra offre le coordinate per la soluzione del caso concreto, che può essere effettuata sulla base della CTU, svolta con motivazione convincente e pienamente condivisibile, neppure contestata dalle parti in ordine ai conteggi numerici, dalla quale il Giudicante non ha motivo di discostarsi in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato.
In particolare, ha chiarito il perito che il tasso pattuito per gli interessi corrispettivi è inferiore al tasso soglia, mentre è superiore al tasso soglia quello pattuito per gli interessi moratori (cfr. in particolare pag. 38 e ss. perizia).
Pertanto, dovendosi ritenere non dovuti gli interessi moratori contrattualmente pattuiti e dovuti invece i soli interessi corrispettivi, risulta non dovuta la somma di € 1.018,9 addebitata in sede di precetto, con la conseguenza che, riducendo di tale importo il precetto, tenuto conto della somma erogata e di quanto già restituito, deve dichiararsi il diritto dell’opposta a procedere esecutivamente per la minor somma di € 221.360,95 e non già per la maggior somma di € 222.379,85 (cfr. ipotesi 2.i.b di pag. 41 della perizia).
d) L‘assoluta complessità della materia, unitamente all’oggettivo contrasto giurisprudenziale sul punto decisivo ai fini della decisione, integrano i motivi che, ex art. 92 comma 2 ratione temporis vigente, suggeriscono la compensazione totale tra le parti delle spese di lite, nonostante la sostanziale soccombenza degli opponenti.
Per le stesse ragioni, anche le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con il separato decreto di cui a dispositivo, possono essere definitivamente compensate tra parte attrice e parte convenuta.
P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica
definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa
– dichiara la nullità della clausola contrattuale n. 5 di previsione degli interessi di mora del contratto stipulato tra le parti il 29/4/2003 a mezzo rogito notaio dott. Palazzi Trivelli rep. n. 31578 racc. n. 10081;
– conseguentemente, riduce il precetto intimato agli opponenti dall’opposta il 16/5/2014, alla minor somma di € 221.360,95, dichiarando che Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. ha diritto di procedere esecutivamente nei confronti di T. R. e A. I. per tale minor somma;
– compensa integralmente tra le parti le spese di lite;
– compensa integralmente tra le parti le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con separato decreto 9/12/2014.
Reggio Emilia, 24/2/2015.

Cassazione civile sez. un. sentenza 06/03/2015 n.4628

In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex art. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale.

Corte di Cassazione, sentenza n. 26286 del 15.12.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il vizio di nullità della sentenza di primo grado per difetto di sottoscrizione, impone la rimessione della causa al medesimo Giudice che ha pronunciato la sentenza carente di sottoscrizione, ex artt. 354, comma 1, 360, n. 4, 383, ultimo comma c.p.c.. Né a tal fine assume rilievo la mancata richiesta, nel giudizio di appello, di rimessione della causa al primo Giudice, trattandosi di conseguenza legale, tassativamente prevista dall’art. 354 c.p.c., dell’accertamento della nullità della sentenza per difetto assoluto di sottoscrizione, cui il Giudice del gravame deve provvedere d’ufficio, non potendo decidere nel merito.

Corte di Cassazione, sentenza n. 21340 del 09.10.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che laddove il funzionario comunale abbia richiesto una determinata prestazione in assenza di regolare contratto è tenuto al pagamento della prestazione ricevuta in favore del Comune

Corte di Cassazione, sentenza n. 20133 del 24.09.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il giudice del gravame deve motivare adegutamente la scelta di aderire alle conclusioni a cui è giunto il CTU di primo grado anzichè quelle del CTU dell’appello.

Corte di Cassazione, sentenza n. 17821 del 8.8.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che può essere fornita anche mediante presunzioni la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi dei creditori nella revocatoria

Corte di Cassazione, sentenza n. 17050 del 28.07.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il il prestito di somme di denaro al genero rietra nell’ambito degli “aiuti” che non si possono chiedere indietro a meno che non venga provata l’esistenza di un titolo dal quale derivi l’obbligo della restituzione.

Corte di Cassazione, sentenza n. 13407 del 12.06.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che in regime di separazione viene meno il diritto di abitazione sulla casa familiare riservato dall’art. 540 c.c. al coniuge del de cuius in quanto la fine della relazione coniugale fa venir meno il collegamento dell’immobile con la residenza familiare.

Corte di Cassazione, sentenza n. 15787 del 10.07.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che se il professionista non determina in una somma di denaro fissa il proprio compenso, il credito per prestazioni professionali è da considerarsi sempre «illiquido» con la conseguenza che va recuperato dinnanzi al foro del domicilio del debitore.

Corte di Cassazione, sentenza n. 29942 del 08.07.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che i clienti possono portare via dai ristoranti cibo e acqua avanzata per darla ai propri cani.

Corte di Cassazione, sentenza n. 10397 del 14.05.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che un operatore economico dopo aver raccolto informative commerciali per un soggetto può richiedere il pagamento dell’attività svolta.

Corte di Cassazione, sentenza n. 12117 del 29.05.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che se il giudice tutelare ha autorizzato al padre, rappresentante legale della minore, di acquistare un fondo con il denaro della figlia.
Il terreno va intestato alla minore altrimenti il contratto di compravendita va annullato.

Corte di Cassazione, sentenza n. 20758 del 21.05.2014

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che il titolare di una servitù di passaggio non può ostacolare i proprietari del fondo nella creazione di un muro di sostegno.
Tale comportamento integra un esercizio arbitrario delle proprie ragioni.