Corte di Cassazione, sentenza n. 23077 del 10.10.2013
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che in materia di emissione di assegni il cliente è l’unico a rispondere degli ordini da lui stesso impartiti alla banca e quindi deve accettare l’eventuale protesto seguito all’ordine di non pagare dopo aver emesso il titolo.
Secondo la Suprema corte, dunque, “il traente che, dopo aver emesso il titolo, ordini alla banca di non pagare si assume il rischio del protesto e, in caso di revoca della provvista o estinzione anticipata del conto della sanzione amministrativa ex art. 2 legge n. 386 del 1990 (Cass. 29841 del 2011), non potendo tale condotta essere giustificata neanche dall’intento di prevenire il rischio dell’inadempimento altrui. Deve, pertanto, condividersi, l’assunto del ricorrente secondo il quale il cliente nella specie è l’unico a rispondere degli ordini da lui stesso impartiti alla banca non potendosi dolere del protesto eziologicamente determinato dagli ordini medesimi”.
Corte di Cassazione, sentenza n. 15685 del 21.6.2013
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che Nel procedimento previsto dall’articolo 39, comma ter, del Dlgs 385/1993 (Testo unico in materia bancaria e creditizia), il presidente del tribunale, accertata la legittimazione del ricorrente e l’inadempimento della banca all’obbligo di frazionare il mutuo, designa il notaio che vi deve provvedere in sostituzione della banca. Nel caso in cui il frazionamento sia richiesto dal terzo acquirente, dal promissario acquirente o dall’assegnatario, l’ipoteca, dopo il frazionamento, deve garantire soltanto la quota di mutuo che il richiedente si è accollato e non una quota proporzionata al valore della singola unità rispetto al valore del complesso delle unità immobiliari gravate dall’ipoteca. Per tale ragione al procedimento non devono partecipare altri soggetti oltre al mutuante ed al soggetto che ha chiesto il frazionamento.
Corte di Cassazione, sentenza n. 33796 del 12.09.2011
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha precisato che perde i soldi l’istituto bancario che finanzia un mutuo ai clienti notoriamente in odore di camorra. La Corte di cassazione esclude la possibilità della buona fede per i dirigenti di una piccola filiale che operava in un paese di 26 mila abitanti. Pochi – secondo gli ermemlini – perché gli operatori normalmente “attentissimi nell’erogazione di prestiti, scoperture bancarie e mutui ipotecari” potessero ignorare il genere di attività svolta dai clienti a cui avevano concesso su proprietà confiscate in quanto proventi di reati. Inutile il tentativo della banca di cercare di dimostrare la sua “ignoranza” all’epoca in cui il finanziamento era stato concesso. Secondo gli ermellini sarebbe stato estremamente facile accertare le qualità sociali ed economiche di clienti tanto particolari in un centro di 26 mila anime.