La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 11905 del 2020 ha affermato che l’adozione di dichiarazioni inesatte o reticenti da parte dell’assicurato al momento della conclusione del contratto di assicurazione, permettere all’assicuratore di esercitare due azioni: la prima, chiedere l’annullamento del contratto, se tale reticenza viene scoperta prima che il sinistro si verifichi; la seconda, rifiutarsi di pagare l’indennizzo, lasciando in vita il contratto, a prescindere dal momento di realizzazione del sinistro.
Più nel dettaglio, la vicenda sottoposta all’esame della Corte riguardava un paziente che aveva citato in giudizio il medico che lo aveva operato e la clinica privata presso cui era avvenuto l’intervento, al fine di vederli condannare al risarcimento dei danni subiti all’esito dei trattamenti sanitari errati a cui era stato sottoposto. Il medico e la clinica chiamavano in manleva le proprie assicurazioni.
In primo e in secondo grado, i convenuti venivano condannati al risarcimento di oltre 90.000,00 euro, senza riconoscere il diritto del medico di essere manlevato dalla sua compagnia di assicurazione. Infatti, la polizza era considerata inoperante a causa della condotta reticente del medico (art. 1892 c.c.). In particolare, le condizioni generali di contratto prevedevano la copertura dei sinistri la cui richiesta risarcitoria venisse presentata durante la vigenza del contratto; i sinistri pregressi erano coperti a patto che, alla data di stipula, l’assicurato non avesse ricevuto alcuna richiesta risarcitoria e non avesse avuto “percezione, notizia o conoscenza, dell’esistenza dei presupposti di responsabilità”.
Al momento della stipula, avvenuta successivamente alle operazioni subite dal paziente, il medico avrebbe dovuto dichiarare di essere a conoscenza di fatti che gli facevano supporre una futura richiesta risarcitoria. L’assicurazione, quindi, pur non avendo impugnato il contratto ex art. 1892 c.c., aveva fatto valere l’inoperatività della polizza. Il medico si opponeva a tale ricostruzione, deducendo che l’assicurazione era decaduta dal diritto di eccepire l’inoperatività del contratto. Si giungeva così in Cassazione.
Orbene, la Suprema Corte ha considerato infondata la doglianza, dal momento che, in caso di dichiarazioni inesatte o di reticenze dell’assicurato, rilevanti ai fini della conclusione del contratto, l’assicuratore ha la possibilità di chiedere l’annullamento del contratto, se la reticenza venga scoperta prima che il sinistro si verifichi; oppure di “rifiutare il pagamento dell’indennizzo, anche lasciando in vita il contratto, se la reticenza venga scoperta dopo il sinistro, ovvero prima del sinistro, ma quando quest’ultimo si verifichi entro tre mesi” (Cass. 12831/2014).
Pertanto, secondo la Corte, in virtù del fatto che il sinistro si era già verificato prima della stipulazione del contratto, l’assicuratore non era obbligato a chiedere l’annullamento dello stesso, mentre era nel suo diritto eccepire la non operatività della polizza. Di contro, erra il ricorrente nel ritenere che, decorso il termine di tre mesi, l’assicuratore perda anche il diritto di rifiutare il pagamento.
In definitiva, il medico, pur essendo consapevole di aver compiuto un doppio intervento per la sostituzione di una protesi appena impiantata, non aveva fornito alcuna comunicazione di questo all’assicurazione. La mentovata condotta rientra nell’art. 1892 c.c. e consente all’assicurazione di annullare il contratto o di eccepire l’inoperatività della polizza. Il ricorso, pertanto, è stato respinto.