Se la vittima ha la consapevolezza di morire: danno biologico

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Per le banche il divieto di anatocismo , o meglio la possibilità di calcolare gli interessi non solo sulla quota capitale, ma sul capitale maggiorato degli interessi già maturati nelle mensilità precedenti, opera immediatamente. La recente modifica del Testo Unico Bancario – ad opera della legge di stabilità 2014 che dispone definitivamente il divieto di anatocismo – deve pertanto riconoscersi nell’art. 120 TUB così come modificato. In questi termini si esprime il Collegio di Coordinamento ABF, confermando il divieto di anatocismo anche in assenza della delibera attuativa del CICR. Secondo il Collegio ciò non rappresenta un limite al divieto di anatocismo, essendo l’art. 120 esplicito sul punto dichiarando che: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Nel caso di specie, un correntista titolare di un contratto in conto corrente bancario ricorreva all’ABF di Milano contestando alla propria banca la capitalizzazione degli interessi a debito con conseguente anatocismo. L’ABF di Milano, rilevata la particolare novità della questione, deliberava di rimettere l’esame della controversia al Collegio di Coordinamento, il quale, seppur rigettando il ricorso del correntista, ammetteva l’applicazione dell’art. 120 TUB anche in assenza della delibera attuativa del CICR.
Sul punto gli arbitri affermano, nella decisione 08/10/2015 n° 7854, che seppur infondate e non provate le pretese del ricorrente “il nuovo art. 120 TUB trova immediata esecuzione anche a prescindere dall’emanazione della pur prevista delibera”. Il Collegio muove la sua interpretazione dalla relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera, la quale afferma “la presente proposta di legge intende stabilire l’illegittimità della prassi bancaria in forza della quale vengono applicati sul saldo debitore i cosiddetti interessi composti, o interessi sugli interessi … la proposta di legge, che per la prima volta tipizza l’improduttività degli interessi composti, intende mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore”.
Si attribuisce quindi alla delibera del CICR una mera funzione indicativa circa le modalità di calcolo degli interessi semplici e questa non potrà in ogni caso determinare la produzione di ulteriori interessi sugli interessi. Sul punto, il Collegio prosegue “ipotizzare … che senza la nuova delibera del CICR, l’anatocismo bancario possa sopravvivere in base alla vecchia delibera … significa postulare un sovvertimento dei fondamentali rapporti gerarchici tra fonti del diritto e fors’anche una inammissibile alterazione costituzionale del rapporto tra poteri dello Stato … la stessa Banca d’Italia dà per scontata l’avvenuta entrare in vigore del divieto di anatocismo e riconosce che la delega al CICR riguarda solo la periodicità di contabilizzazione degli interessi e il termine per la loro esigibilità”.
Infine, il Collegio di Coordinamento dell’ABF ribadisce il divieto di anatocismo tout court nei rapporti bancari, vigente a partire dalla Legge di stabilità 2014.

09/11/2015

Il Tribunale di Bari affronta uno degli argomenti più dibattuti in ambito bancario: l’usurarietà del tasso di mutuo. Sulla base dell’art. 644 c.p. e della sentenza della Cassazione n. 350 del 9 gennaio 2013, ribadisce la necessità di computare anche la penale di estinzione anticipata oltre al tasso di mora.
Ebbene l’ordinanza del 19/10/2015 statuisce che “ai fini della verifica della usurarietà del tasso convenuto nel contratto di mutuo deve tenersi conto non solo del tasso di interessi convenuto ma anche di tutti gli altri costi previsti in contratto, sia quelli certi (come le spese di istruttoria e quelle per l’assicurazione dell’immobile o degli immobili concessi in garanzia) che quelli eventuali quali possono essere gli interessi moratori (dovuti in caso di inadempimento nel pagamento delle rate di mutuo) e la commissione per estinzione anticipata». Bisogna pertanto «cumulare gli interessi moratori con la commissione anticipata».
Tale ordinanza precisa inoltre che il calcolo deve essere effettuato con riferimento al capitale concesso quando vengono pattuite le condizioni contrattuali del mutuo, così come prescrive la legge.
Pertanto, nel caso specifico, il Tribunale di Bari ha accolto la domanda di sospensione della procedura esecutiva nei confronti del mutuatario. L’usurarietà del tasso convenuto “dato dalla sommatoria del tasso convenzionale, di quello di mora, delle spese di istruttoria e di assicurazione, nonché dell’1,50% per estinzione anticipata”, infatti, determina la gratuità del mutuo ai sensi dell’art. 1815, comma 2, c.c.. e pertanto, “alla data in cui è stato intimato il precetto l’opponente aveva pagato una somma superiore a quella dovuta per le rate scadute della sola sorte capitale sicché il credito azionato in via esecutiva è privo del requisito dell’esigibilità atteso che la Banca opposta non poteva avvalersi della clausola risolutiva espressa non essendosi verificato alcun inadempimento dell’opposta al pagamento di quanto dovuto fino a quel momento per sorte capitale”.

06/11/2015

La Circolare emanata dal Ministero della Giustizia il 23/10/2015 propone un freno ad atteggiamenti non univoci ravvisati dall’inizio della fase operativa del processo telematico in materia civile, e si prefigge di essere un utile espediente per l’adozione di deter­minazioni unitarie, con­cretamente perseguite mediante la costituzione di corpus unico e periodicamente aggiornato.
È bene richiamare gli effetti pratici discendenti dalle disposizioni del D.L. 83/2015 poi convertito nella L. 132/2015 e, soprattutto, a quella parte che rende possibile “….il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1 e dei documenti che si offrono in comunicazione, da parte del difensore o del dipendente di cui si avvale la pubblica am­ministrazione per stare in giudizio personalmente”.
Ad essi si riferisce il rapido e schematico riassunto delle modalità di deposito alla data odierna.
Ufficio
Tipo atto
Regime del deposito
Tribunale
Atto introduttivo / primo atto difensivo
Telematico o cartaceo a scelta della parte (in caso di depo­sito telematico, questo è l’unico a perfezionarsi)
Corte d’appello
Atto introduttivo / primo atto difensivo
Telematico o cartaceo a scelta della parte (in caso di depo­sito telematico, questo è l’unico a perfezionarsi)
Tribunale
Atto endoprocessuale
Esclusivamente telematico
Corte d’appello
Atto endoprocessuale
Esclusivamente telematico
Al punto 2 si delineano poi le disposizioni per la “tenuta del fascicolo su supporto carta­ceo” individuando il perentorio principio che pare destinato ad accompagnare la vita del processo ci­vile (cartaceo o telematico esso sia). Gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal C.A.D. e la disciplina processuale vigente mantengono la loro validità a prescindere dal pas­saggio al siste­ma di processo telematico. Illustrando ipotesi non esaustive di produzione cartacea, la circolare precisa come quella seguente l’ordine del giudice ai sensi dell’art. 16 bis comma 9 D.L. 179/2012 “…sarà oggetto di formale atte­stazione di deposito da parte della cancelleria e sarà inserito nel fascicolo cartaceo del proces­so…” esclu­dendo tale adempimento nel caso in cui il deposito cartaceo sia informalmente allegato da una delle parti (cfr. capo 4 della stessa circolare).
Quid juris per l’ipotesi in cui il deposito della copia di cortesia più che alla cortesia si riconduca al provvedimento giudiziale contenente invito od ordine alla produzione cartacea?
Sembrerebbe doversi pensare che anche quella copia (proprio perchè “ordinata”) debba essere desti­nata ad attestazione del deposito ed all’inserimento nel fascicolo cartaceo.

Al punto 3 viene ribadito un concetto complessivamente scontato e già formulato in prece­denza: la disposizione dell’art. 111 disp. att. c.p.c. (rifiuto del cancelliere di inserimento di compar­se non comunicate alle altre parti e di cui non vengano consegnate le copie in carta libera …”) non si applica al caso in cui il deposito si perfezioni telematicamente (perché obbligatorio o facoltativo).
Le cancellerie, dunque, saranno tenute ad accettare il deposito degli atti endoprocessuali inviati in forma telematica, senza doverne rifiutare il deposito per il fatto che non sia stata allegata co­pia cartacea.
Alle “Copie informali” si riferisce il capo sub 4 del documento in esame dichiaratamente differenziato dalle copie depositate per ordine del giudice ai sensi dell’art. 16 bis, comma 9, D.L. 179/2012, e quindi riferite alla copia cartacea informale dell’atto o documento depositati te­lematicamente.
La soluzione finisce per riproporre gli obblighi discendenti, per la cancelleria, dal di­sposto di cui al­l’art. 36 disp. att. c.p.c. ipotizzando la formazione di un fascicolo cartaceo che rischia peraltro di co­stituire pericoloso vulnus al proclamato processo di digitalizzazione, lasciando aperte le porte ad un fascicolo prevalente­mente cartaceo (quantomeno alla stregua delle criticità sul PCT segnalate da una parte delle rappre­sentanze della magistratura) ed assicurando ulteriore quanto inutile conviven­za tra le due tipologie di materiale (l’uno ufficiale e l’altro eventuale e non necessitante finanche di alcuna annotazione).
“Dall’esclusività, o anche dalla mera facoltà del deposito telematico deriva l’esigenza, as­solutamente prioritaria, di garantire la tempestiva accettazione degli atti e documenti depositati dalle parti.”
E’ così che il Ministero introduce la disposizione di cui al punto 5 destinata a regolamentare i tempi di lavorazione degli atti da parte delle cancellerieescludendo, in maniera perentoria, che “…possa­no trascorrere diversi giorni tra la data della ricezione di atti o documenti e quella di accettazione degli stessi da parte della cancelleria.”
Meno perentorio l’invito sul punto formulato e che viene rimesso ad amichevole consiglio preordin­ato a fare in modo che quella procedura “…sia eseguita entro il giorno successivo a quello di ricez­ione da parte dei sistemi del dominio giustizia.”.
Di nuova introduzione il paragrafo al punto 7.1, teso a risolvere una problema­tica riconducibile all’iscrizione della causa in un registro diverso da quello di perti­nenza ai fini del versamento del contributo unificato.
Non essendo, al momento, previsto il trasferimento interno tra i diversi registri del fascicolo telema­tico, il Ministero delinea una norma di comportamento ragionevolmente non pregiudizievole per l’avvocato che dovesse avere involontariamente errato, prevedendo che in questo caso “…la cancel­leria non potrà richiedere il versamento di un nuovo contributo unificato per tale seconda iscrizio­ne al ruolo (in quanto, come si è visto, nell’ipotesi sopra descritta è solo avvenuto un passaggio del medesimo atto introduttivo da un ruolo ad un altro dello stesso ufficio), ma soltanto l’eventuale in­tegrazione dello stesso in conseguenza della diversità del rito.”
Sul punto 8, la domanda di ingiunzione di pagamento europea individua una procedura in ordine alle diverse modali­tà di proposizione del ricorso quali delineate dall’art. 7, § 5, del regolamento (CE) n. 1896/2006 che affida la modalità di presentazione della domanda al supporto cartaceo o tramite qualsiasi altro mezzo di comunicazione, anche elettronico, accettato dallo Stato membro d’origi­ne e di cui dispone il giudice d’origine.
Avendo l’Italia a suo tempo privilegiato il supporto cartaceo, ne discende che sia questa la modalità in grado di assicurare la possibilità di presentare la domanda di ingiunzione anche a soggetti stranie­ri che siano privi di difensore. Le cancellerie accetteranno, dunque, il deposito su supporto cartaceo della modulistica relativa alle domande di ingiunzione europea di pagamento.

Le ultime disposizioni “nuove” re­golamentate dalla circolare ministeriale riguardano la possibilità di inserire nei registri di cancelleria, l’intero collegio giudicante (punto sub 18). La problematica continua ad investire una variegata ipotesi di fattispecie in cui il giudicante viene chiamato a pronunciarsi in composizione collegiale ed, in particolare, nelle cause davanti alla Corte d’Appello; giustificata, in questo caso, l’esigenza di acconsentire l’accessibilità del fascicolo al Con­sigliere relatore ma anche agli altri magistrati componenti oltre che al Presidente.
All’artigianale determinazione locale che assicurava questa esigenza mediante messa a disposizione, a tutti i magistrati coinvolti, di copie cartacee degli atti e dei documenti processuali, subentra la mo­dalità unica di accesso mediante la consolle del magistrato che, al momento, consente la consulta­zione dei singoli fascicoli soltanto ai magistrati assegnatari, e non agli altri di cui pertanto il mini­stero raccomanda l’inserimento. Le cancellerie vengono quindi invitate ad “…inserire correttamen­te i dati in questione nei registri elettronici…”
La disposizione seguente (18.1) risolve altra ed annosa problematica ravvisata nel quotidia­no rapporto tra avvocati ed uffici giudiziari. Benchè sia ormai pacifica l’intervenuta titolarità, in seno al difensore, del domicilio digitale con esonero dalla necessità di indicazione del domiciliatario locale, permane l’uso di indicare nell’atto la presenza di entrambi i professionisti, senza che il dato confluisca però nel fascicolo telematico in cui è dato rinvenire il nominativo del solo dominus od addirittura il solo domiciliatario.
Posto che tutti i difensori della parte hanno diritto alla comunicazione e non soltanto taluni di essi, viene raccomandato, al personale di cancelleria, adeguata attenzione ed inserimento nel fascicolo tanto del/dei difensore/i quanto dell’eventuale domiciliatario.
Meritevole di apprezzamento è la nota fi­nale apposta in calce alla circolare e consistente di invito a volersi astenere dalla sua stampa perchè contenente “…collegamenti ipertestuali a siti istituzionali (cfr. parti sottolineate nei para­grafi 11 e 14) che andrebbero persi consultando il documento stesso su carta…” ed escludereb­be l’utilità deri­vante dalla predisposizione dei collegamenti ipertestuali contenuti nell’indice e preor­dinati ad age­volare la consultazione a monitor.

05/11/2015

Mentre il disegno di legge di Stabilità 2016 prosegue l’iter parlamentare, si delinea con maggiore chiarezza la cosiddetta misura “opzione donna”: alle lavoratrici che sceglieranno di andare in pensione in anticipo, a 58 anni, la pensione, che dovrebbe essere calcolata con un sistema misto retributivo-contributivo, viene invece interamente misurata con il contributivo. Si tratta di una norma che comporterà per circa 36.000 donne di avere una pensione piuttosto ridotta. L’Anief ipotizza, infatti, che una lavoratrice con 35 anni di contributi che avrebbe potuto godere di un assegno mensile di 1.400 euro netti, scenderà sotto i 1.000 con la pensione anticipata. Considerata un’aspettativa di vita media di 30 anni per chi va in pensione adesso, la perdita può essere calcolata in oltre 140.000 euro.

La pensione anticipata è ambita dalle lavoratrici che non intendono continuare a lavorare fino alle soglie dei 68 anni, come prevede la legge Fornero.
Dichiara l’Istat: il 51,4% dei nati al di sotto dei due anni è accudito dai nonni, mentre solo il 37,8% frequenta un asilo nido; la baby sitter viene scelta come modalità di affido prevalente solo nel 4,2% dei casi, evidentemente è un lusso che pochi possono permettersi. Secondo un’indagine Censis sono 9 milioni in Italia i nonni che si occupano dei nipoti. Ma la carenza di assistenza e servizi adeguati si ripropone anche quando gli anziani sono in età troppo avanzata per prendersi cura dei nipoti. Il Presidente dell’Istat del 2001 Giovannini avvisava: “Le donne vivono una inaccettabile esclusione dal mercato del lavoro. Per di più, il carico di lavoro familiare e di cura gravante su di loro rende più vulnerabile un sistema di ‘welfare familiare’ già debole”. L’unico rimedio che sembra pervenire da un legislatore apparentemente comprensivo è la sola riduzione della durata dei tempi lavorativi, purché siano le stesse donne a farsi carico di una parte consistente dei costi.

02/11/2015

Si configura il danno biologico se la vittima, nella frazione di tempo intercorrente tra l’evento ed il decesso, ha coscienza del sopraggiungere della fine.

Così ha disposto la Corte di Cassazione, che è tornata a pronunciarsi sul tema, (Cass. n. 7126 del 2013, Cass. n. 23183 del 2014, Cassazione Civile, sez. III, sentenza n. 12722 del 19/06/2015) con l’ordinanza n. 20767/15, depositata il 14/10. Nel caso di specie, la madre e il fratello di una vittima di incidente stradale hanno impugnato con ricorso in Cassazione la decisione della Corte d’Appello di Milano: questa aveva ridotto l’ammontare del risarcimento del danno non patrimoniale.
In particolare, col terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentavano il mancato riconoscimento del danno biologico patito dalla vittima nell’arco di tempo intercorrente tra le lesioni subìte e l’evento infausto. Sostenevano infatti che la vittima fosse rimasta cosciente e che tale circostanza fosse stata provata in giudizio.

In ossequio al consolidato principio secondo cui la paura di morire, provata da chi abbia subìto lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, configura un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima fosse stata in grado di comprendere la gravità della propria condizione e l’imminenza della propria fine, la Suprema Corte ha ritenuto tale motivo manifestamente infondato. Pertanto, in assenza di tale consapevolezza, non si delinea l’esistenza del danno in questione. Se la Corte d’Appello ha ritenuto che la vittima fosse rimasta in stato di incoscienza nell’intervallo tra vulnus ed exitus, per cui tale danno biologico, ed il relativo diritto al risarcimento non è entrato nel patrimonio della stessa né è stato trasmesso agli eredi; gli Ermellini hanno precisato che non spetta alla Cassazione accertare se la vittima fosse stata cosciente o meno, trattandosi di una questione di merito, non sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

Per le sopraposte argomentazioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

30/10/2015