Lo spray al peperoncino è un’arma?

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La Corte di cassazione, prima sezione penale, nella sentenza n. 8624 del 2018 respinge il ricorso del P.M. contro la sentenza che aveva assolto un uomo, imputato del reato ex art. 4, legge. n. 895 del 1967. Non integra, infatti, il reato previsto dalla anzidetta legge, il comportamento di colui che porta con sé una bomboletta di spray al peperoncino: non si tratta di un’arma da guerra, e neppure chimica, bensì di un’arma non (più) comune da sparo o di altro tipo, per il cui porto non è ammessa la licenza ex articolo 699 del codice penale.

Gli Ermellini, in prima battuta, escludono che la bomboletta in questione possa essere ricompresa nelle armi comuni, proprio per l’assoluta mancanza delle caratteristiche indicate nell’art. 1 legge n. 110 del 1975, la quale si riferisce ai contenitori di gas, solo ad aggressivi chimici, biologici e radioattivi dotati di una spiccata potenzialità di offesa. Tuttavia, quanto alle armi comuni da sparo, precisa la Corte, disattendendo quanto precisato dal giudice di merito, la legge citata considera tali anche quelle a emissione di gas. E l’interpretazione della giurisprudenza ha ritenuto che, in particolare, rientrassero nelle armi comuni da sparo sia le bombolette spray contenenti gas lacrimogeno che quelle contenenti gas paralizzanti. Ma per quanto riguarda, invece, le bombolette contenenti la sostanza rilevante nel caso di specie, il d.m. n. 103 del 2011 ha individuato le caratteristiche tecniche che debbono possedere gli strumenti di autodifesa e, in particolare, i relativi contenitori per essere legali.

Nel caso di specie, il contenitore repertato aveva capacità ben più elevata di quella consentita dalla legge e la Cassazione precisa infatti che il suo porto è stato fondatamente considerato antigiuridico e che deve essere sussunto sotto la fattispecie residuale contravvenzionale di cui all’art. 699 del codice penale e non, invece, del delitto previsto dall’articolo 4 della legge 895/67. Stante il descritto inquadramento, con la necessaria puntualizzazione, la Cassazione condivide la decisione del giudice di merito secondo e ritiene corretta la riqualificazione giuridica della fattispecie, a causa delle potenzialità lesive della bomboletta determinata dal mancato rispetto delle prescritte caratteristiche tecniche: pertanto, non può essere censurata la declaratoria di non punibilità conseguentemente emessa, ex art. 131-bis c.p. in relazione alla pena comminata al contravventore dall’art. 699 del codice penale.