Figlio rifiuta il posto nell’azienda di famiglia: il mantenimento è comunque dovuto

La Corte di cassazione nell’ordinanza n. 30540 del 2017 precisa che il padre rimane onerato al mantenimento del figlio, nonostante la proposta di lavorare nell’azienda di famiglia. Il rifiuto espresso dal giovane non costituisce colpevole inerzia, dal momento che non si tratta di un’occasione di lavoro ordinaria.

In seguito all’appello incidentale proposto dal figlio insieme alla madre, si esprimeva la Corte giudicando insussistente l’affermata colpevole inerzia del giovane, idonea a revocare l’obbligo contributivo. I giudici evidenziavano infatti come nel percorso di studi del ragazzo avesse interferito il suo tentativo di inserimento nell’azienda paterna, fallito anche a causa delle ostilità tra i due.

Anche la Cassazione rigetta le doglianze del padre: le critiche alla motivazione della decisione si risolvono in un’inammissibile richiesta di riesame delle risultanze processuali e di una diversa selezione dei fatti e degli elementi rilevanti emersi nel corso della fase di merito, non ammissibile in Cassazione. D’altronde, gli argomenti dei giudici di merito non violano affatto, come invece sostenuto dal ricorrente, i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. Il mantenimento infatti non cessa automaticamente al raggiungimento della maggiore età, ma perdura immutato finché il genitore interessato non provi che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica o abbia rifiutato ingiustificatamente di raggiungerla.

Pertanto l’inserimento del figlio – ancora studente universitario – in un contesto produttivo-aziendale in cui il titolare è lo stesso genitore con il quale ha una forte conflittualità, non rappresenta un’occasione lavorativa ordinaria. Il ricorso deve essere dunque respinto e il ricorrente condannato alla rifusione delle spese processuali.