Dieta vegana per il figlio tra interesse del minore e responsabilità genitoriale

Il Tribunale di Roma, sez. I civile, con la sentenza 19/10/2016 si è occupato di risolvere il conflitto tra genitori circa la scelta del regime alimentare da imporre alla figlia.

Nel caso concreto, il contrasto era sorto in conseguenza dalla decisione materna di obbligare la figlia minore a seguire un rigido regime vegano, con esclusione quindi di tutti i prodotti animali e loro derivati (carne, pesce, uova, latte, latticini etc.), nonché di cereali raffinati. Trattandosi, nella circostanza, di una scelta unilaterale, il padre ricorreva al giudice della separazione, lamentando innanzitutto la mancata condivisione della decisione; in secondo luogo, agiva nel timore che un regime alimentare così restrittivo potesse rivelarsi pregiudizievole per un sano percorso di crescita e adduceva a tale scopo un certificato medico da cui risultava la scarsa crescita ponderale e in altezza. Infine, egli precisava che la madre, nonostante il proprio espresso dissenso, aveva stabilito di far seguire alla minore una dieta vegana anche a scuola.

Il Tribunale di Roma ritiene di dover decidere, in primo luogo, verificando l’eventuale sussistenza di ragioni di carattere medico, tali da implicare particolari restrizioni alimentari. Secondo i giudici, infatti, a prescindere dalle specifiche convinzioni di ognuno, qualora debbano essere compiute scelte che superino il disaccordo tra i genitori, occorre riferirsi alle condotte normalmente tenute dagli stessi, nella generalità dei casi, per la cura e l’educazione dei figli. Con questa impostazione, dopo aver accertato il buono stato di salute della minore e l’assenza di allergie o intolleranze sottese a tale opzione alimentare, il Collegio romano, applicando parametri di ordine statistico, giunge a disporre che la figlia minore adotti nella scuola frequentata una dieta priva di restrizioni.

Di fronte ad una forte conflittualità genitoriale è “l’interesse del minore” ad essere utilizzato quale parametro di giudizio in ordine alle decisioni che riguardano la cura, l’educazione, l’istruzione dei figli da parte del giudice. Occorre anzitutto precisare che nella nozione di “interesse del minore” rientrano non soltanto gli interessi nel significato solitamente attribuito a tale categoria, quali situazioni giuridiche soggettive di rango inferiore, ma anche i diritti soggettivi del minore, quali la libertà, la salute, l’istruzione e la formazione. Alla luce di queste considerazioni, la nozione di “interesse del minore” deve essere dunque ricondotta alla categoria delle “clausole generali” il cui contenuto non è definito in modo univoco e astratto dalla norma, ma deve essere completato di volta in volta dall’interprete nel caso concreto. Il giudice, quindi, rilevato che la forte conflittualità tra i genitori rendeva necessario rideterminare i tempi di permanenza della figlia con il padre, per una corretta applicazione del principio dell’affidamento condiviso, disponeva il monitoraggio da parte dei servizi sociali per controllare l’effettività delle frequentazioni padrefiglia.

Sotto questo profilo, il provvedimento costituisce idoneo strumento di attuazione del parametro dell’interesse del minore. Sulla presunta nocività del regime vegano, imposto dalla madre senza il consenso dell’altro genitore, il Collegio, accertato il minore accrescimento della bambina rispetto ai suoi coetanei (quindi rispetto a degli standard di crescita), adottava invece parametri di “normalità statistica” per escludere nel caso concreto l’applicazione del regime vegano alla figlia. L’argomento decisivo quindi si fondava sulla considerazione che, poiché la dieta onnivora, normalmente praticata nelle scuole, è stata giudicata adeguata da organi statali a ciò deputati (Ministero della salute e della pubblica amministrazione) si presume che essa garantisca la corretta crescita dei minori.

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